Lettera alla Regione su consumo di suolo e fotovoltaico

Sig. Presidente della Regione Veneto, Dott. Luca Zaia,
Signori Consiglieri della Regione Veneto,


In questi mesi abbiamo seguito con attenzione le evoluzioni del dibattito sul progetto di legge regionale n. 41 che propone di limitare in modo consistente il consumo di suolo da parte degli impianti fotovoltaici.
Questa iniziativa legislativa, che ha il pregio di aver fatto emergere i difetti delle normative vigenti sugli usi del suolo, è stata purtroppo accompagnata da una campagna mediatica contro il “fotovoltaico” che oltre a sollevare i legittimi dubbi di una parte dei promotori, rischia di alimentare una inaccettabile contrapposizione tra suolo e sviluppo delle energie rinnovabili. Dopo decenni di impegno e campagne informative per far comprendere la gravità della crisi climatica, non possiamo rischiare di frenare irreparabilmente la corsa verso la transizione energetica voluta dal Governo e verso il traguardo degli obiettivi di sviluppo sostenibile di Regione Veneto, che indicano chiaramente come entro il 2030 la fonte fotovoltaica da sola dovrà arrivare a soppiantare almeno il 60% dell’attuale generazione da fonti termiche fossili.
Il tema centrale della PdL 41 e del dibattito che questa proposta dovrebbe animare dentro e fuori le aule del Consiglio regionale, cioè la necessità di normare con serietà lo sviluppo delle energie rinnovabili sui suoli della nostra regione, è stato così derubricato a favore di una poco edificante semplificazione in favorevoli o contrari.
Per rimediare a questa rischiosa deriva, è nostro desiderio contribuire a riportare il dibattito attorno alla proposta di legge sul piano del confronto oggettivo, facendo affidamento ai dati della situazione attuale e agli obiettivi futuri per focalizzare l’attenzione su quello che oggi è il vero problema, ovvero il cambiamento climatico causato dalle eccessive emissioni di CO2.
Il consumo di suolo, ne siamo consapevoli, è un problema importante soprattutto in Veneto. Tuttavia deve essere osservato con un’ottica più ampia e inserito in un contesto globale, evitandone il richiamo a tutela di interessi di parte. La vera emergenza oggi risulta essere indiscutibilmente il surriscaldamento della Terra con tutte le conseguenze che ne derivano e che già oggi sono sotto i nostri occhi: alluvioni, desertificazione, incendi, clima instabile, tornado, scioglimento dei ghiacciai e tempeste come Vaia.
Lo stesso suolo che non si vuole consumare, anche a discapito degli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile unica soluzione realmente perseguibile per il contenimento dell’aumento della temperatura, ogni anno viene minacciato dal surriscaldamento globale che ne riduce la capacità produttiva e ne accelera la desertificazione, a danno anche delle colture agricole. Quest’ultimo dato merita particolare attenzione perché se è certamente necessario tutelare chi lavora la terra serve prioritariamente garantire la sopravvivenza del territorio e dell’ambiente nel suo complesso.
È noto che con l’aumento delle temperature di 2°C anziché 1,5°C aumenteranno maggiormente siccità e desertificazione e saranno sempre più frequenti anomalie climatiche con fenomeni quali incendi, siccità e alluvioni. È proprio ciò che dovremmo contrastare. E dovremmo farlo tutti insieme, dal vertice delle Istituzioni alla base della società civile.
Per questo motivo gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC 2019) prevedevano la realizzazione di circa 31 Gigawatt (GW) di impianti fotovoltaici entro il 2030 mentre nel nuovo PNIEC che si sta predisponendo la soglia è stata elevata a circa 50 GW (che corrisponde ad una media di 5GW all’anno), pari ad almeno 1.200 Watt (W) per abitante. Gli obiettivi al 2050 portano l’obiettivo a 210 GW di nuova capacità. Questi numeri danno il senso dell’entità del problema e dell’urgenza di agire. Il Veneto ha una media di 429 W per abitante, buon risultato ma lontano dall’obiettivo che deve essere almeno di 1.200 W per abitante.
Il motivo per cui ci sono pochi impianti è che l’iter autorizzativo è lungo e tortuoso e l’esito positivo tutt’altro che scontato. La campagna denigratoria in atto porta a pensare che ci sia una sovrainstallazione di impianti, mentre il rapporto del GSE ci informa che nel 2020 sono entrati in esercizio in Italia solo 0,749 GW, ovvero il 15% dei 5 GW anno che avrebbero dovuto essere avviati. Di contro, ad esempio, in Germania sono realizzati 2,75 GW nei primi sei mesi del 2021.
Se pensiamo di realizzare a livello nazionale il 30% di impianti su tetto, il doppio dell’attuale trend, i restanti impianti a terra richiederebbero circa lo 0,3 % dei terreni liberi (ovvero pressappoco il 30% dei terreni abbandonati che crescono al ritmo di 125.000 ettari all’anno).
SNPA nel rapporto sul “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemi” del 2021 riporta che, secondo i dati Terna del 2019, il Veneto consuma 32,3 Terawattora (TWh), con una produzione di energia pari a 16 TWh, di cui 1,92 TWh da fotovoltaico. Il Veneto è la regione con il maggior deficit percentuale in Italia, che già da solo dovrebbe farci riflettere sull’esigenza di incrementare la nostra quota di energia verde per avvicinarci all’autosufficienza energetica. Il burden sharing previsto dal PNIEC assegna al Veneto un obiettivo al 2030 di 7 TWh, ovvero un aumento di circa 5 TWh prodotti da impianti fotovoltaici stimando una superficie, sia essa a tetto o a terra, occupata di 5.000 ha.
Seppure sia possibile sostenere semplicisticamente che lo spazio disponibile sui tetti sia sufficiente al fabbisogno locale, tale considerazione viene messa in dubbio dallo stesso rapporto di SNPA ove viene ribadito che seppur teoricamente possibile utilizzare esclusivamente le coperture, tale ipotesi non è realistica ed anzi è necessario prevedere installazioni anche su terreno e off-shore di entità significativa.
Nel frattempo, stiamo trasformando i nostri consumi da fonte fossile ad elettrico, quindi pompe di calore al posto delle caldaie, auto elettriche al posto delle auto a combustione interna, fornelli ad induzione al posto dei fornelli a gas senza considerare che se non vi è una produzione di energia rinnovabile consistente e diffusa sul territorio non stiamo facendo altro che continuare a usare combustibili fossili, cambiando il nostro modello energetico solo nell’apparenza ma non nella sostanza.
In Veneto per arrivare ai 7 TWh indicati nel report di SNPA servirebbero altri 5.000 ha ai 788 ha già utilizzati.
Numeri chiari, lontani dal devastare il territorio o dal “rubare” terreni all’agricoltura che solo negli ultimi 5 anni ha visto cedere ai parcheggi oltre 1.000 ha. Parcheggi che potevano rimanere terreno battuto e, invece, sono stati asfaltati. Terreni che potevano essere coperti con impianti fotovoltaici rivestendo così una doppia funzione. Lo stesso rapporto infine fa consapevolmente notare che la maggior parte dei terreni utilizzati dai grandi impianti fotovoltaici sono terreni identificati dal piani di assetto territoriali come produttivi ed edificabili: un chiaro messaggio per sottolineare che, comunque, questi suoli sarebbero stati destinati ad una cementificazione reale ed irreversibile (poli logistici, capannoni, centri commerciali, direzionali, industriali ed artigianali, supermercati, ecc.. ). Un impatto permanente per il suolo, a differenza di quello temporaneo degli impianti fotovoltaici, che a fine vita potranno essere rimossi in poche settimane ripristinando lo stato di fatto precedente.
Per tornare al tema centrale della PdL 41, ci preme sottolineare che le energie rinnovabili devono essere viste come una concreta opportunità alleata dell’agricoltura, per tornare a coltivare terreni abbandonati ma anche per affiancare attività agricole esistenti, rafforzando le aziende di un settore oggi sempre più spesso in difficoltà e travolto dagli eventi climatici. Per questo chiediamo che nella Legge sia esplicitato e definito – oltre all’individuazione di superfici a terra idonee e non idonee allo sviluppo delle rinnovabili tradizionali – un nuovo delivery model per il fotovoltaico che ponga al centro il non depauperamento del suolo e la tutela della capacità produttiva agricola dei terreni.
Una convivenza tra fotovoltaico e produzione agricola che oggi è possibile, necessaria e abbondantemente sperimentata grazie all’agrivoltaico: terminologia con cui si intende definire impianti fotovoltaici in aree agricole dove sia garantita la compresenza tra la produzione elettrica da fonti rinnovabili, attraverso l’installazione di impianti solari sopraelevati, con l’attività agricola o l’allevamento. Serve dunque incentivare e non punire gli interventi basati su questo differente modello, che anziché sostituire integri la generazione fotovoltaica nelle produzioni di un’azienda agricola, trattando le installazioni fotovoltaiche alla stessa stregua di qualsiasi altra produzione vegetale, e in cui la manutenzione del suolo e della vegetazione risulti integrata e concorrente al raggiungimento degli obiettivi produttivi – economici e ambientali – del gestore dei terreni.
In questo senso chiediamo di implementare la proposta di Legge inserendo la definizione di agrivoltaico, utile a delineare le modalità di coesistenza tra produzione agricola ed energetica oltre che a dimostrare che il fotovoltaico non è alternativo all’attività agricola.
È bene sapere che un impianto agrivoltaico a terra essendo realizzato con pali battuti non impermeabilizza il terreno, come accadrebbe con un parcheggio, una strada o un capannone, inoltre riduce considerevolmente l’evaporazione dell’acqua dal suolo. Nelle aree interessate dagli impianti è possibile la convivenza con attività agricole o zootecniche e laddove si è in presenza di fotovoltaico non viene utilizzato alcun agente chimico; numerosi studi hanno dimostrato come in questo contesto la biodiversità prosperi, per esempio con la presenza di api.
Siamo d’accordo che tetti, terreni dismessi e cave inutilizzate debbano essere i primi adibiti alla realizzazione degli impianti ma gli obiettivi per l’ambiente ci impongono di non poter escludere a priori l’utilizzo di terreni agricoli. Ne va della sopravvivenza dell’ecosistema. Tuttavia se vogliamo raggiungere gli obiettivi e utilizzare in primis terreni e cave dismesse dobbiamo individuare dei percorsi autorizzativi semplificati e declinarli nella norma regionale in discussione, altrimenti si rischia di allontanare possibili investimenti, a danno di tutti. Il recente processo di recepimento della Direttiva RED II peraltro esplicita in modo chiaro che non si possono individuare a priori aree vietate.
Se vogliamo contribuire a salvare il pianeta, cercando di essere di esempio al mondo di come si prospera pur nel rispetto dell’ambiente, abbiamo il dovere superare l’approccio NIMBY, che preferisce congelare i problemi suggerendo moratorie e divieti tout-court, per mettere rapidamente mano all’assetto normativo ed agevolare gli insediamenti individuando aree idonee e percorsi normativi semplificati con serietà e senza contrapposizioni di retroguardia tra produzione agricola e produzione energetica. Anche se è una scelta forte, si potrebbe pensare ad obbligare l’installazione sui nuovi capannoni di una quota maggiore di rinnovabili, così come sui parcheggi.
Bisogna quindi partire da numeri certi e condivisi per adottare scelte politiche che siano razionali allo sviluppo del fotovoltaico su tutte le superfici idonee, e non solo sui tetti, per far fronte al crescente fabbisogno energetico regionale. Terreni agricoli non di pregio o abbandonati non debbono essere vietati a priori, peraltro in contrasto con norme europee e nazionali, ma solo a seguito di analisi già previste dei percorsi autorizzativi. Corsie preferenziali per avere tempi autorizzativi certi su aree agricole compromesse, come le ex cave, o su terreni classificati non agricoli, possono spingere gli investitori a realizzare impianti in questi contesti.
Infine alla luce delle recenti dinamiche energetiche che impattano sui costi dell’energia bisogna considerare che le rinnovabili per il fatto di essere svincolate da dinamiche geopolitiche permettono una maggiore stabilità dei prezzi senza mettere a rischio la competitività delle nostre aziende.
Abbiamo l’opportunità di aumentare la produzione di energie rinnovabili e allo stesso tempo di trasformare l’agricoltura da potenziale nemico dell’ambiente a prezioso alleato per affrontare la grave crisi ambientale e creare un’economia veramente sostenibile senza deteriorare il nostro ambiente rurale.
Auspichiamo quindi che la Pdl 41 e le future norme in materia che approderanno alla discussione in Consiglio Regionale, tengano conto di questi aspetti oggettivi.

Ringraziamo per l’attenzione e porgiamo distinti saluti.

f.to Dott. Piergiovanni Ferrarese
Presidente Confagricoltura Veneto Giovani
f.to Ing. Paolo Rocco Viscontini
Presidente Italia Solare
f.to Dott. Luigi Lazzaro
Legambiente Veneto
f.to. Prof. Ing. Pasqualino Boschetto
Presidente F.O.I.V.
f.to Ing. Andrea Falsirollo
Presidente Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia

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