La Piave: fiume identitario, fiume resiliente

Legambiente scrive ai Sindaci rivieraschi:
Il PNRR è un’opportunità di riscatto da non lasciarsi sfuggire
Il Contratto di Fiume è lo strumento che consentirà di gestire i processi in modo unitario e trasparente

Il Piave – la Piave – oggi è considerato uno dei fiumi più sfruttati e artificializzati d’Europa, e se da un lato il grado di rischio idrogeologico per alluvioni, frane e cedimenti non accenna a diminuire sotto la spinta acutizzata dal moltiplicarsi dei fenomeni estremi dovuti al cambiamento climatico in atto, dall’altro continuiamo a vedere autorizzati interventi che superano gli argini del buon senso: si costruisce o si coltiva dove non si dovrebbe, si abusa dei prelievi d’acqua e di ghiaia, si taglia in assenza di piani condivisi per la gestione della vegetazione riparia, si imbriglia dove le forze della natura non dovrebbero essere disturbate.

Legambiente Veneto ha stilato un documento che sarà inviato a tutti i sindaci dei paesi rivieraschi con il quale si chiede il Contratto di Fiume unitario. Basta con i progetti che rispondono solo alle esigenze di soggetti individuali e non comprendono e rispettano la collettività.

Le risorse Europee del NextGenerationEU, rese operative con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, potrebbero risultare un’opportunità di riscatto per il Piave, solo a patto che si punti sulla qualità dei progetti, mettendo al centro della strategia regionale progetti integrati di adattamento e riduzione del rischio, per contrastare il dissesto idrogeologico e rendere il territorio più resiliente ai cambiamenti climatici. Per non ritrovarci, come sempre negli ultimi decenni, con centinaia di milioni spesi in progetti di sistemazione del dissesto, ma senza prevenzione e meno al sicuro di prima.
Purtroppo, andando a vedere il Piano Regionale di Ripresa e Resilienza approvato dalla Giunta della Regione Veneto ed attualmente in discussione nelle commissioni consiliari, è facile verificare che seppure il Piave sia interessato da 11 schede di progetto per costi che ammontano a 459 milioni di euro (che riguardano principalmente la sicurezza idraulica, lo sghiaiamento, l’innalzamento degli argini, le opere di laminazione e la conversione dei sistemi irrigazione), nessuna di queste schede prevede azioni integrate o rimandi a ulteriori progetti utili alla conservazione integrata degli habitat naturali e della biodiversità.

Questi progetti, quasi per nulla discussi con le comunità, devono essere rivalutati in un unico scenario e non possono più procedere per progettazioni isolate come nel passato. È necessaria più attenzione verso le condizioni ecologiche del fiume in tutto il suo scorrere a partire dal diminuire l’impatto puntuale delle attività umane in alveo e a ridosso del fiume stesso, troppo spesso aggredito da esagerati appetiti localizzati, come, ad esempio, le estensioni di monocolture agricole che invadendo le aree golenali impoveriscono i magredi e la biodiversità fluviale.

Serve una visione completa degli scenari, facendo tesoro anche di tutto il lavoro fatto fino ad ora dalle Amministrazioni Locali anche attraverso Contratti di Fiume attivati in questi anni, per condividere il più possibile la pianificazione degli interventi sia infrastrutturali sia di rinaturalizzazione, sulla base di priorità reali.

Occorre dotarsi rapidamente di strumenti adeguati per la valutazione dei progetti e per il monitoraggio dell’esecuzione e dell’efficacia. Avvicinare le comunità urbane che vivono lungo il fiume alla progettazione del loro futuro, può aiutare all’adattamento climatico dell’essere umano nel rispetto dell’esistenza del fiume: una nuova “Comunità di Fiume”, un patto con le comunità, che consenta il raggiungimento degli obiettivi da tutti auspicati: contenimento del rischio idraulico, salvaguardia della biodiversità, ripristino della naturalità, tutela degli ecosistemi racchiusi nelle realtà fluviali e golenali, tutela e ripristino della coesione sociale delle comunità.

Indispensabile quindi utilizzare il Contratto di Fiume, uno strumento che – come dimostra il Contratto di Fiume Basso Piave – ha consentito lo svolgimento di percorsi trasparenti. Regione Veneto e Autorità di Distretto Alpi Orientali
dovranno diventare al più presto i protagonisti della gestione del CdF del fiume Piave raccogliendo il tanto lavoro già svolto dal 2013, valorizzando quanto già fatto fino ad oggi e coinvolgendo tutti i soggetti interessati per unire i molti progetti presenti sull’asta del fiume, in una visione unica e razionale.

Il Manifesto sarà presentato a maggio in una serie di incontri che porteranno agli eventi previsti a luglio sul Piave per la Campagna “Operazione Fiumi” che Legambiente Veneto sta conducendo su numerosi fiumi veneti.

Il documento si può scaricare da questo link:

http://www.legambienteveneto.it/wp-content/uploads/2021/04/Documento_Piave.pdf

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